martedì 18 novembre 2008

COME USCIRE DAL PRECARIATO

le richieste del Coordinamento Docenti Precari e Ricercatori Precari dell’Università di Firenze 

Tavola rotonda sull’Università organizzata dalla CGIL Toscana, Firenze, 18 novembre 2008


A dieci anni di distanza dalla creazione del precariato universitario strutturale, siamo lieti che la CGIL si accorga di noi. Parlare di precariato mette subito in luce l’anomalia della nostra condizione lavorativa, che chiameremo ancora “categoria”, ma che meglio sarebbe descritta con il termine “generazione”. L’anomalia è costituita dalla lotta portata avanti dai lavoratori per l’eliminazione della categoria a cui appartengono.

Il precariato universitario assume in toto le lacune di diritto che caratterizzano gli altri tipi di precariato, e che possono essere sommariamente riassunte nella mancanza di diritti previdenziali e assistenziali; nell’assenza del diritto di sciopero; nell’esclusione dalla partecipazione alla vita democratica accademica; nelle paghe non dignitose; e, infine, nell’obbligo non scritto di coprire mansioni che oltrepassano le competenze contrattuali. Inoltre, data la forte componente erculea del precariato accademico, il capitolo delle pari opportunità risulta totalmente inevaso: per le donne la maternità corrisponde in realtà alla via di espulsione dal mondo della ricerca.

 

Le nostre richieste prendono atto della situazione attuale dell’università italiana, il cui funzionamento è assicurato dai lavoratori precari, come dimostrano i numeri: nell’ateneo fiorentino, a fronte di 2271 professori di prima e seconda fascia e ricercatori strutturati, i precari della ricerca sono 1954, e 1544 i docenti a contratto.

È certamente fondamentale, nonostante il giro di vite che l’attuale governo ha dato agli atenei e in particolare a quelli “non virtuosi”, ribadire la richiesta di un reclutamento massiccio attraverso concorsi trasparenti inseriti in un più ampio quadro di riforma. Tuttavia non riteniamo accettabile che il precariato, la colonna fragile dell’università, sia sottoposto a condizioni lavorative di tipo schiavistico senza tutele né rappresentanza e con la prospettiva incerta della continuità di un lavoro che non trova altri sbocchi che all’interno dell’università stessa (la docenza universitaria si fa all’università, non ci sono altre possibilità; così come alcuni ambiti della ricerca).

Pertanto si richiede, a breve termine:

– la rappresentanza dei Ricercatori Precari e dei Docenti a contratto, con voto deliberativo, nel Senato accademico e nel Consiglio di Amministrazione d’Ateneo; la rappresentanza, con voto deliberativo, nel Consiglio di Facoltà; il voto deliberativo nei Consigli di Corso di Laurea e nei Consigli di Dipartimento;

– la costruzione di un’anagrafe dei precari per uscire dall’ “invisibilità”;

– minimi retributivi dignitosi: per la docenza a contratto, ad esempio, la L. 230/2005 prevede che il trattamento economico dei contrattisti sia «rapportato a quello degli attuali ricercatori confermati» (art. 14), ma attualmente l’Ateneo fiorentino propone anche contratti a titolo gratuito.

E, a medio termine, in vista dell’eliminazione definitiva del precariato strutturale:

– la sostituzione dell’attuale giungla di contratti precari con un’unica figura di lavoratore subordinato a tempo determinato (con durata minima di due anni) che rivesta compiti di ricerca e docenza interrelati in varia misura;

– l’abolizione progressiva della docenza affidata in appalto, come conseguenza della stabilizzazione dei precari della docenza e della ricerca e non come abolizione degli insegnamenti e conseguente espulsione di coloro che per anni si sono impegnati a tenere in piedi alcuni corsi di laurea (come è accaduto col decreto Mussi);

– la democratizzazione dell’accesso ai fondi di ricerca e la loro apertura ai ricercatori non strutturati, quale condizione necessaria all’autonomia della ricerca e all’autonomia del ricercatore dalle gerarchie accademiche.

 

Consideriamo infine inaccettabile la contraddizione tra la meritocrazia declamata dal decreto 180/2008, e la valutazione dell’efficienza degli atenei ivi sancita secondo criteri puramente economico-finanziari. Così come non accettabili risultano le misure prese per gli atenei “non virtuosi”, quali il blocco totale del turn-over che impedisce il fisiologico ricambio generazionale e che di fatto investe solo, o prevalentemente, le categorie dei lavoratori meno protette. La situazione dell’Ateneo fiorentino, a causa della gestione irresponsabile che si protrae da anni, si rivela perciò, se possibile, ancora più grave di quella nazionale. Noi, ricercatori precari e docenti precari, non vogliamo addossarci le conseguenze di una crisi in cui non abbiamo concorso di colpa.

Noi la crisi dell’ateneo fiorentino non la paghiamo!

docentiprecariunifi@gmail.com

ricercatoriprecariunifi@gmail.com

PROVVISORI PROFESSORI UNIVERSITARI

Il docente a contratto è un prestatore d’opera esterno. L’opera è l’insegnamento universitario.

Il docente a contratto, per statuto, è inaffidabile. È un professore universitario a scadenza: firma un contratto di qualche decina di ore di lezioni ex cathedra; il contratto decade alla fine del corso, non assicura alcun rinnovo ed è «rinnovabile per non più di sei anni» (D.L. 242/1998).

Il contingente dei docenti a contratto non è inquadrabile. Chiunque può diventare docente esterno (professionisti, hobbisti e pensionati), purché competente nel settore di insegnamento, c’è posto perfino per persone educate al mestiere: assegnisti-ricercatori-dottorandi-dottori che dopo anni di studio in dipartimento e poi di ricerca e assistentato, e poi tesi, pubblicazioni e libri, cadono in tentazione e si prestano al buon funzionamento della malauniversità.

Il lavoro del docente a contratto è clandestino. Gli uditori sono gli studenti che, si sa, passano e si rinnovano di anno in anno. E se i risultati del lavoro si vedono nel lungo periodo, nel momento della verità il prof. a contratto può essere già decaduto (o deceduto).

Il docente provvisorio non si impegna nella vita democratica dell’accademia, né attivamente, né passivamente, non essendo ammesso ad alcun tipo di assise accademica (D.L. 242/1998, artt. 2 e 3). Escluso dai consigli di facoltà, è all’oscuro delle scelte prese in merito alla didattica. Rigettato dai consigli di dipartimento, anche delle scelte prese in merito alla ricerca. Così, i docenti a contratto si muovono ciechi, procedendo a tentoni per i corridoi.

Il docente a contratto è vanaglorioso. Alcune facoltà prevedono che la prestazione d’opera sia a titolo gratuito; altre pagano il corrispettivo di un chilo di pane all’ora per poche centinaia di euro l’anno; altre pagano un po’ di più, ma è sempre precariato.

Il docente a contratto fa il doppio gioco. Contemporaneamente è precario nella ricerca e nella docenza, talvolta affronta anche altre forme di provvisorietà.

Il contrattista è un teatrante. Come gli intermittents du spectacle è pagato per le ore di lezione, non per la preparazione della lezione stessa.

Il docente a contratto vive alla giornata. Ai precari della docenza non sono riconosciuti i diritti minimi dei lavoratori strutturati (malattia, maternità, sciopero, ferie etc), già negati loro dal DPR 382/1980 (art. 25) che perentoriamente proclamava: «i contratti [di docenza] non danno luogo a trattamento assistenziale e previdenziale».

I docenti a contratto sono krumiri. Coprono, o possono arrivare a coprire, il 50% del totale degli insegnamenti nei corsi accademici (decreto Mussi, 2007). Se il docente a contratto si ferma, i corsi di laurea sono destinati al collasso.

Il docente a contratto è asociale. Conoscersi e contarsi tra precari è difficile e le facoltà, guidate da ex sessantottini immemori e irrivoluzionari, remano contro, secondo l’antico motto del divide et impera. 

Ilaria Agostini

docente a contratto nelle Università di Firenze e Perugia


martedì 11 novembre 2008

LETTERA AL RETTORE DI FIRENZE

Al Rettore dell’Università degli Studi di Firenze prof. Augusto Marinelli

e, per conoscenza,

al Prorettore alla didattica prof. Sandro Rogari

ai Presidi di Facoltà dell’Ateneo Fiorentino


I Docenti a contratto dell’Università di Firenze, per voce del Coordinamento Docenti Precari Unifi riunitosi in assemblea giovedì 6 novembre 2008,

- constatata l’importanza che la docenza a contratto riveste nello svolgimento dell’attività didattica di molti Corsi di Laurea di questo Ateneo;

- constatata la condizione di forte disagio determinato dal basso livello retributivo e dalla sostanziale esclusione dalla vita democratica accademica dei docenti a contratto a fronte di un impegno sempre crescente causato dai progressivi pensionamenti del personale strutturato;

- considerato che la presenza di un corpo docente estraneo alle strutture organizzative e di indirizzo della docenza non può che portare ad uno scadimento progressivo della qualità stessa della didattica;

- considerata la dignità di lavoro, le tipologie di contratto e l’importanza che in altri paesi europei hanno figure equiparabili, esterne ai ruoli universitari;

- considerata l’incidenza che le nuove restrizioni causate dalla L. 133/2008 avranno sul precariato universitario,

CHIEDONO

che vengano apportate modifiche allo Statuto d’Ateneo e al Regolamento concernente la disciplina dei professori a contratto, volte ad ottenere:

negli ambiti e nelle modalità dell’art. 2, comma 2 del D.L. 242/1998:

- il diritto di voto deliberativo dei Docenti a contratto nei Consigli di Corso di Laurea;

- la presenza dei Docenti a contratto, con diritto di voto deliberativo, nei Consigli di Dipartimento;

- la rappresentanza, per ciascun corso di laurea, dei Docenti a contratto nel Consiglio di Facoltà, con diritto di voto deliberativo;

- la rappresentanza dei Docenti a contratto, con diritto di voto deliberativo, nel Senato accademico e nel Consiglio di Amministrazione;

nonché:

- l’istituzione di minimi retributivi dei docenti a contratto (D.R. 896/2004, art. 7) pari a quelli dei ricercatori confermati, come previsto dall’art. 14 della L. 230/2005;

- l’accesso dei Docenti a contratto ai fondi d’Ateneo per la didattica e per la ricerca, con possibilità di essere responsabili di progetti autonomi;

- il riconoscimento di pari diritti col personale strutturato in merito all’accesso alle strutture universitarie quali biblioteche, mense universitarie, centri linguistici, mediateche, etc.

Tali richieste si attengono ai diritti minimi riconoscibili alla componente precaria della docenza, che da anni si trova in attesa di concorsi come soluzione della propria situazione lavorativa nell’Ateneo fiorentino. I Docenti Precari, certi del suo interessamento, chiedono di essere ricevuti in Rettorato per un confronto in merito alle richieste sopra enunciate.


Firenze, 11 novembre 2008

Coordinamento dei Docenti Precari dell’Università di Firenze

lunedì 20 ottobre 2008

LA DOCENZA UNIVERSITARIA «A CONTRATTO»: UN MESTIERE AMBÌTO PRIVO DI TUTELE

La precaria fisionomia del contratto di docenza è delineata da un decreto del 1998 firmato dall’allora ministro Luigi Berlinguer (Regolamento recante norme per la disciplina del docente a contratto, n. 242/98). Il contratto, da stipularsi tra università e «studiosi od esperti di comprovata qualificazione professionale e scientifica», ha durata annuale, non ha garanzia di rinnovo ma, in ogni caso, è «rinnovabile per non più di sei anni» (il settimo anno salta un giro!). Il docente a contratto assume le stesse mansioni didattiche di un professore “strutturato”, ma non partecipa alla vita democratica dell’istituzione: la presenza negli organi accademici collegiali, anche in forma di rappresentanza, gli è sostanzialmente interdetta (artt. 2 e 3; quest’ultimo articolo, tramite la perfida disapplicazione di norme precedenti, gli preclude il diritto di vedersi rappresentato nei consigli, derivante dall’analogia tra la figura del docente a contratto e quella del docente incaricato, non più esistente).

Contro la precarietà tracimante (il docente esterno è già previsto dal DPR 382/1980, ma in forme assai meno invasive), Berlinguer non alza argini: i contratti «non danno luogo a diritti in ordine all’accesso nei ruoli delle università» anche se, passati pochi anni, la L. 230/2005 (Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari) tenta di tappare la falla: «l’espletamento di un insegnamento universitario mediante contratto [...] costituisce titolo preferenziale da valutare obbligatoriamente nei concorsi che prevedano la valutazione dei titoli» (art. 14), senza però approfondire o normare più specificatamente il riconoscimento di tali titoli.

Quando nel 2007 il governo Prodi, preso atto del dilagare del fenomeno cui si dichiara sensibile, emana il cosiddetto decreto Mussi che pone il tetto del 50% agli insegnamenti affidati a contratto in ciascun corso di laurea, i corsi riducono automaticamente l’offerta formativa, espellendo di conseguenza un buon numero dei docenti esterni che da anni vi erano impegnati, e la misura contro il precariato si trasforma in misura contro i precari.

Oggi, un decennio dopo il decreto Berlinguer, in un pullulare di nuovi corsi di laurea, può ben dirsi che il docente in appalto abbia in effetti riscosso un enorme successo negli atenei italiani: 48.797 erano i docenti a contratto nell’anno accademico 2005-2006 (dati dell’ufficio statistica del Ministero dell’Università). Nell’a.a. 2008-2009, nella sola facoltà di Architettura di Firenze – l’esempio non ha carattere di eccezionalità nel panorama nazionale – a fronte di 130 docenti associati e ordinari e di 90 ricercatori, i professori a contratto sono 280 (dal sito ufficiale di Ateneo): contro un 44% di professori strutturati, ivi compresi i ricercatori, il 56% del corpo docente è composto da esterni. Quel 44%, detto per inciso, ha un’età media piuttosto avanzata ed è in odor di pensione; il 56% è, invece, in genere, giovane e vitale e può portare carichi pesanti.

Coordinare tra loro i docenti a contratto (ma anche i precari della ricerca, poiché in genere le due categorie si riuniscono nella stessa persona che contemporaneamente è precaria nella ricerca e nella docenza) è, per molteplici motivi, un’impresa ardua. Il mondo del precariato è multiforme e disgregato, irrorato di invidie e di ambizioni personali, costellato da «esperti» ammaliati dal titolo accademico o da servili garzoni dello studio del prof. Ma, dall’altro lato, anche da ricercatori-docenti-contrattisti-dottori di ricerca che, educati al mestiere, dopo anni di “servizio” in dipartimento (una decina, come minimo) e un curriculum ricco di pubblicazioni, cedono alle lusinghe e si offrono per tenere in piedi corsi di laurea affamati di lavoro a basso costo.

Le liste di nominativi dei contrattisti non sono facili da ricostruire, sia per la fugacità intrinseca del precariato, sia per la poca propensione che le facoltà hanno nel diffonderle: se sollecitate, le presidenze si ritraggono riparandosi dietro alla privacy; e d’altra parte è difficile attendersi la collaborazione incondizionata di segretarie anch’esse precarie e ricattabili. Ma, nonostante gli ostacoli, ci stiamo contando e organizzando (docentiprecariunifi@libero.it).

I docenti a contratto, coordinatisi, si adoprano per ottenere gli stessi diritti dei lavoratori strutturati (malattia, maternità, sciopero, ferie etc), che già il decreto del 1980 perentoriamente negava loro: «i contratti [di docenza] non danno luogo a trattamento assistenziale e previdenziale» (DPR 382/1980, art. 25); per ottenere una rappresentanza e per una giusta retribuzione che dia dignità al lavoro svolto. Secondo la citata L. 230/2005, il trattamento economico dei contrattisti dovrebbe essere «rapportato a quello degli attuali ricercatori confermati» (art. 14); ma gli atenei, si sa, sono al verde, e lo stesso legislatore, tirato il sasso, ritrae la mano: il compenso, prosegue l’articolo, sarà infatti «determinato da ciascuna università nei limiti delle compatibilità di bilancio».

Per apprezzare l’inaccettabilità della situazione retributiva attuale, si ritiene necessario prendere in esame un contratto: si propone, non solo per facilità di reperimento, quello sottoscritto tra chi scrive e la facoltà di Architettura di Firenze. L’incarico si articola in 72 ore di lezioni ex cathedra, da svolgere nel primo semestre dell’a.a. 2008-2009, «nonché delle ore [quante?] da dedicare alle attività connesse alla didattica da effettuare entro il 30 aprile 2010»: ossia, il contrattista si impegna per un anno e mezzo in mansioni del tutto paritetiche a quelle dei docenti interni.

Quando il contratto entra in merito alla retribuzione, si scopre che «l’Università corrisponderà al prof. [...] un compenso complessivo, al netto di IVA, di € 244,8 [sic!]»: poco meno di 250 euro per un anno e mezzo di lavoro, che corrispondono a 3 euro e 40 centesimi per ogni ora di lezione contrattuale. Tutto il resto è gratis (preparazione delle lezioni, esami, materiale per la didattica etc.). Ma ancora non è finita: da quest’anno, il pagamento verrà liquidato secondo nuove modalità, umilianti per ambo le parti: «due terzi [i.e. 163,2 €] a conclusione dell’attività didattica frontale», e «un terzo [i.e. 81,6 €] a conclusione dell’obbligo contrattuale», cioè nell’aprile 2010. Se l’effetto desiderato è quello di intimorire il contrattista, non fa paura che venga trattenuto un terzo della paga, quanto l’entità di quella paga.

In alcune facoltà la docenza a contratto è, ad accentuarne la dimensione erculea, a titolo gratuito; in sedi più facoltose le retribuzioni arrivano ad assumere un carattere dignitoso, ma resta pur sempre docenza in appalto, in un’indefinitezza disarmante della continuità del mestiere.

La docenza a contratto, infelice invenzione, nella sua forma attuale, di un governo di centro-sinistra, rischia di diventare la norma nel quadro che si viene configurando con lo smantellamento dell’università pubblica messo in atto dall’attuale governo di centro-destra con il taglio dei fondi alla ricerca, con il blocco delle nuove assunzioni a fronte del prossimo pensionamento di un’alta percentuale del personale, e con la trasformazione delle università in fondazioni di diritto privato cui sarà di fatto regalato il patrimonio immobiliare e scientifico degli atenei, fermo restando il finanziamento pubblico (L. 133/2008, art. 16). Questi sono solo i tagli. Prepariamoci alla riforma che non tarderà ad arrivare.


 

* Docente a contratto di Analisi della città e del territorio alla Facoltà di Architettura di Firenze e di Storia del paesaggio agrario alla Facoltà di Agraria di Perugia.